L’innovazione concettuale del bitcoin mette in difficoltà coloro che hanno la pretesa di fare informazione “decente” senza un’adeguata preparazione.
Fino a che vengono pubblicate idee strampalate su un blog non vedo alcun problema, ma quando sul principale quotidiano economico leggo (Banche centrali, guerra ai Bitcoin) provo un certo sgomento.
L’idea alla base dei Bitcoin è stata infatti creare una valuta digitale che fosse indipendente da ogni tipo di autorità o governo nazionale e che permettesse di effettuare pagamenti elettronici a livello globale senza controlli, in maniera istantanea e soprattutto anonima. Tutte cose interessanti per lo sviluppo del commercio digitale globale non agganciato all’altalena dei tassi di cambio e dei tassi di interesse. Ma anche innovazioni da maneggiare con cautela. Anonimato e non tracciabilità sono due caratteristiche che trasformano un mercato in un far west, in una prateria per evasori, riciclatori e bande di criminali che vogliono spostare capitali illeciti senza lasciare traccia, odore o impronta.
Dette affermazioni necessitano di alcuni precisazioni, o meglio, di un invito a studiare, approfondire e comprendere.
- L’idea alla base del Bitcoin è quella di creare un sistema che non si basi più sulla fiducia e su enti centrali.
- Il bitcoin non è anonimo (il contante è anonimo, le materie prime sono anonime, i titoli al portatore sono anonimi), il bitcoin è pseudonimo. Il bitcoin è come una casella di posta elettronica.
- Il bitcoin è tracciabile. Chiedete ad un ragazzino che si sia preso la briga di leggere qualche blog informativo per saperlo.
- L’affermazione che il mercato è una prateria per evasori, riciclatori e bande di criminali è (come sempre) apodittica e assiomatica. Chi sarebbero gli “evasori”? Ed i “riciclatori”? E quali sarebbero le “bande di criminali”? Basta leggere il rapporto Antiriciclaggio dell’UIF per rendersi conto che solo in Italia e solo nei primi sei mesi, sono stati versati (non usati, ma versati) oltre 94 MLD di euro in contanti.
- Infine, basta avere letto qualche pagina di un libro di economia for dummies per fare due banali conti per dimostrarne l’assoluta incongruenza. Qualora lo 0,1% della stima dei flussi mondiali di capitali illeciti (nella sola Italia la stima dell’Economia illegale e criminale si attesta sui ~ 200 miliardi di euro annui, fonte ISTAT) utilizzasse il bitcoin, è agevole comprendere come vi sarebbe una pressione sulla domanda di acquisto di bitcoin molto elevata che farebbe schizzare verso l’alto il prezzo. Da qui la contraddizione: (i) il prezzo del bitcoin è totalmente slegato dalla domanda, ovvero (ii) l’economia illegale non usa bitcoin bensì i contanti.
Ma il problema non si arresta a queste affermazioni, ma esonda.
In Italia se ne parla poco a livello ufficiale, ma non tra le istituzioni. Banca d’Italia e Consob hanno messo sotto stretta sorveglianza l’intero mercato della valuta digitale monitorando soprattutto il suo uso negli acquisti di beni e servizi: la diffidenza degli italiani nell’uso della carta di credito, in questo senso, non sembra estendersi al portafoglio dei Bitcoin.
La carenza di conoscenza diventa imbarazzante, dato che Banca d’Italia si è distinta per essere innovativa e proattiva (i documenti cui si fa riferimento sono del Gennaio 2015, oltre due anni fa) e la stessa Banca Centrale Italiana ha tenuto un interessante Convegno nel Giugno 2016, cui si rimanda.
Di tenore analogo è un documento riservato di un’authority nazionale di cui si conosce in realtà ben poco: la Italian Financial Intelligence Unit. (…) «La task force italiana – spiega ancora la Bce – ha diffuso una circolare in cui mette in guardia le banche sull’uso anomalo delle monete virtuali: gli intermediari devono segnalare immediatamente le operazioni sospette in Bitcoin e le transazioni che potrebbero nascondere non solo il riciclaggio di denaro, ma anche il finanziamento di gruppi terroristici».
Diventa difficile seguire questo ragionamento su un presunto documento (anche per la costruzione lessicale) dato che, in realtà, in Italia esiste la Unità di Informazione Finanziaria (UIF). L’UIF ha emesso un documento (in data 01.02.2015) denominato “Utilizzo Anomalo di Valute Virtuali” che è pubblico e di facile comprensione che non dice quanto asserito.
Ciò sarebbe sufficiente per dimostrare la pochezza di approfondimento e l’uso di strutture concettuali obsolete, ma la fine dell’articolo diventa paradossale per l’insieme di banalità non supportate da alcuna evidenza scientifica, ma esclusivamente basate su concetti che il bitcoin intende superare.
Il secondo passo, è trasferire il denaro reale dal proprio conto bancario a quello aperto in Bitcoin, operazione non monitorata in quanto originata su piattaforme nazionali. E qui nasce il problema. Non potendo più essere tracciato (non c’è più intermediario bancario vigilato a registrare le transazioni), il titolare del conto trasferisce indisturbato il patrimonio in Bitcoin su un altro conto personale (aperto negli Usa o in Europa) intestato a parenti o soggetti terzi compiacenti o addirittura complici: a operazione avvenuta, i Bitcoin cambiano paese di residenza e giurisdizione, lasciando al proprietario la possibilità di scegliere il momento giusto per spenderli o cambiarli in altra valuta.
Alla fine della giostra, i capitali hanno preso il volo con destinazione ignota, e l’intera operazione non lascia traccia né sui radar delle autorità finanziarie n di quelli dell’antiriciclaggio o di controllo sull’esportazione di capitali.
Prove certe sulla relazione tra le distorsioni e le oscillazioni di prezzo dei Bitcoin e le manipolazioni valutarie e finanziarie che si consumano dietro la valuta digitale ancora non esistono. Per ora solo le autorità di vigilanza cinesi hanno trovato una correlazione tra il boom dei Bitcoin e la fuga di capitali dalla Cina: il balzo del volume delle transazioni in Bitcoin e la caduta dello yuan hanno un comune denominatore nelle tensioni finanziarie internazionali che generalmente alzano tensione e polverone tra Governi e sul mercato dei cambi.
L’autorevolezza di chi scrive si nota anche dall’attenzione con cui utilizza i termini. Preciso che il termine Bitcoin con la “B” maiuscola, viene utilizzato per descrivere il protocollo e con la “b” minuscola per l’unità di conto (bitcoin).
Nessun conto viene aperto né può essere aperto, ma l’utente può esclusivamente creare un indirizzo su cui vengono inviati bitcoin, indirizzo che è generato da una chiave privata (che costituisce l’elemento con cui i bitcoin vengono successivamente inviati ad altro indirizzo).
Quindi nessuno apre conti, nessuno intesta fiduciariamente o tramite prestanome o complici, ed i bitcoin non cambiano né Stato né Giurisdizione perché non sono in nessuno Stato né in alcuna Giurisdizione.
Diventa pertanto impossibile seguire l’iperbole del giornalista, che si avventura in un terreno per lui inesplorato e senza alcuna mappa, dato che tace in merito agli approfondimenti svolti in Unione Europea e prescinde addirittura dallo Schema pubblicato da parte del Dipartimento del Tesoro in merito all’introduzione della IV Direttiva Antiriciclaggio che contempera i bitcoin (valute virtuali).
Il bitcoin è un nuovo paradigma che disintermedia le transazioni attraverso la creazione di un protocollo che non si basa sulla fiducia.
La conclusione ad effetto dell’articolo diventa incomprensibile per chi si occupa di tali strumenti, se non alla luce delle false ovvietà lette sopra.
Il problema, è che a fare le spese di queste dinamiche opache e speculative non è solo la credibilità delle istituzioni, ma anche il piccolo investitore che in buona fede compra Bitcoin pensando al futuro radioso della tecnologia finanziaria. Ma senza regole appropriate, reale o digitale che sia fa poca differenza: è solo gioco d’azzardo 4.0.
A quanto mi risulti non vi è alcun promotore di investimento in bitcoin (semmai in valuta virtuale centralizzata, ma li è un’altra storia), nessun fondo speculativo in bitcoin (il fondo dei gemelli Winklevoss è ancora in attesa di approvazione), nessuna dinamica opaca (il tutto è sempre e continuamente tracciabile sulla blockchain) e chiunque investa in bitcoin è assolutamente consapevole dei rischi che assume.
Personalmente mi stupisco di come il principale giornale economico italiano abbia inteso dar voce senza alcuna verifica né controllo sul contenuto di quanto pubblicato oggi, ma non voglio pensare che questo possa inserirsi in una strategia di demolizione e demonizzazione.
Stefano Capaccioli