Il Garante della privacy ha multato cinque società per uso illecito di dati: leggendo i provvedimenti emerge come il comportamento sanzionato vada ben oltre la violazione della normativa di protezione dei dati personali.
Difatti, nell’esercizio dell’attività di Money Transfer, pare che, per impedire la riconducibilità delle disponibilità finanziarie ai reali titolari, dette società abbiano fatto ricorso alla tecnica del frazionamento, dividendo le somme di denaro in più operazioni sotto la soglia prevista dalla normativa antiriciclaggio e attribuendo i trasferimenti di denaro a oltre mille soggetti differenti dai reali mittenti, e quindi senza acquisire il loro consenso al trattamento dei dati.
Detta notizia impone una riflessione sugli schemi antiriciclaggio, sugli obblighi che la stessa normativa genera e principalmente sull’utilità di tali regole.
La normativa genera volume di costi di compliance per tutte le attività, costi che costituiscono l’esternalizzazione della funzione pubblica di controllo a fini di (i) prevenire e (ii) contrastare i fenomeni di riciclaggio di denato.
La semplicità con cui le imprese sanzionate hanno aggirato i controlli (e non vorrei che fosse la punta di un iceberg) getta una fosca luce sull’analisi costi benefici di tale normativa che, pur partendo da nobili fini, rischia di tradursi in un aumento di costi di compliance per le imprese corrette, rendendo ancora più competitive le imprese che tali obblighi aggirano.
La distorsione di mercato, in tale caso, non verrebbe ridotta (come auspicato dalla normativa) bensì ulteriormente aumentata, a detrimento della legalità.
Stefano Capaccioli
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