Imposta di Bollo e Imposta sulle Criptoattività: tanta confusione!

Stefano Capaccioli

Il diavolo si annida nei dettagli e, in campo tributario, assume connotati quasi paradossali.

L’imposta di bollo e l’imposta sulle criptottività appare uno dei tanti cortocircuiti tipici del nostro sistema tributario.

A seguito della Risposta all’Interrogazione Parlamentare 5-03655 “Chiarimenti circa l’applicazione dell’imposta di bollo sulle cripto-attività” del 5 marzo 2025 e della Circolare 30/E del 27 ottobre 2023, l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate che ne deriva è il seguente:

L’imposta di bollo  è dovuta dai soggetti passivi previsti dal DM 24 maggio 2012: la Circolare estende tale obbligo (senza alcuna base giuridica) ai prestatori di servizi funzionali all’utilizzo delle valute virtuali (exchanger e prestatori servizi di custodia i di cui all’articolo 3, comma 5, lettere i) e i-bis), del d.lgs. n. 231 del 2007 iscritti all’OAM). Tale categoria è stata abrogata dal d.lgs. 204/2024 con l’introduzione della nuova figura dei prestatori di servizi per le cripto-attività (nuova lettera v-bis), con autorizzazioni a livello europeo e quindi con possibilità di NON avere sedi in Italia.

A seguito della Risposta all’Interrogazione Parlamentare, gli importi che sono dovuti sono i seguenti:

  1. Cripto-attività detenute presso un intermediario italiano: imposta di bollo del 2 per mille con importo minimo un euro per qualunque posizione che abbia consistenza ovvero movimenti per almeno un centesimo, con debitore d’imposta l’intermediario italiano ed obbligo di dichiarazione nel proprio quadro RW.
  2. Cripto-attività detenute presso un intermediario estero: imposta sulle cripto-attività del 2 per mille con minimo di versamento di dodici euro (somme inferiori non devono essere versate) da pagarsi attraverso l’indicazione nel proprio quadro RW, con indicazione dei prelievi ed apporti.
  3. Cripto-attività detenute direttamente (non custodial wallet): imposta sulle cripto-attività del 2 per mille con minimo di versamento di dodici euro (somme inferiori non devono essere versate) da pagarsi attraverso l’indicazione nel proprio quadro RW.

La contraddizione appare evidente, come del resto la discriminazione degli intermediari italiani: la reductio ad absurdum che in logica costituisce base per dimostrare la fallacia di una tesi o di un sistema, in campo tributario appare la normalità.

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