Se volessimo semplificare al massimo si potrebbe affermare che la tecnologia Bitcoin, in estrema sintesi, si è limitata a consentire ad una comunità indefinita di soggetti, spontaneamente costituitasi in nodi di una rete informatica, di condividere ed aggiornare, quasi in tempo reale, un registro in cui gli stessi possono annotare informazioni di reciproco interesse della natura più varia.
La funzione qui descritta difficilmente potrebbe suscitare un particolare interesse per il giurista.
Al più potrebbe servire a smorzare facili entusiasmi sulle concrete prospettive di applicazione della stessa tecnologia.
Si tratta, nondimeno, di una descrizione che, per quanto in sé formalmente corretta, è in realtà del tutto parziale, limitandosi a cogliere solo l’aspetto più superficiale del fenomeno.
In primo luogo perché la funzione di cui trattasi avviene con una caratteristica fondamentale, ovverosia con modalità tali da risolvere automaticamente ogni ipotetico conflitto tra i membri della comunità, sì da rendere le annotazioni del registro condiviso non solo non contestabili, ma finanche eterne.
In secondo luogo perché, grazie a questa caratteristica fondamentale, è possibile impiegare il registro condiviso dai nodi della rete per riportare non informazioni qualsiasi, ma la storia intera, transazione per transazione, di tutti gli scambi riguardanti un medesimo oggetto realizzati tra i membri della comunità.
Tale caratteristica fa infatti sì che possa venirsi a costituire, così come in effetti si è venuto a costituire nel caso specifico della rete Bitcoin, un vero e proprio circuito economico parallelo interno alla comunità stessa, sebbene costantemente aperto all’ingresso di nuovi soggetti, in cui ciascuno, così come può volontariamente ed in diversa misura concorrere al processo di condivisione e di aggiornamento del registro, allo stesso modo è libero di partecipare agli scambi con ognuno degli altri membri. E può far ciò in via sostanzialmente diretta, senza doversi necessariamente affidare ad un qualsivoglia intermediario per effettuare una transazione.
Basterebbe ciò a destare una rinnovata curiosità anche per l’operatore del diritto, se non altro per la necessità cogente di definire giuridicamente l’oggetto dello scambio che, per come è storicamente dimostrato dal fenomeno bitcoin e più in generale di tutte le criptovalute, può ben essere rappresentato anche solo da una mera entità numerica ideale, ma potenzialmente idonea, per le regole che ne governano l’emissione, ad assolvere finanche alle funzioni di mezzo di scambio, se non addirittura a quelle di moneta vera e propria.
Se tale questione appare per alcuni profili superata, grazie al talvolta sottovalutato arresto della sentenza della Corte UE C-264/14, che ha risolto il caso affermando univocamente la natura di mezzo di pagamento dei bitcoin, l’aspetto che più oggi deve destare l’interesse del giurista sta invece altrove.
Ovverosia nella constatazione, anzitutto, che per le caratteristiche della tecnologia l’oggetto dello scambio realizzato mediante annotazione della transazione nel registro condiviso può ben essere costituito anche da un qualsivoglia diritto o bene giuridico che possa essere univocamente identificato per via digitale e quindi, come tale, “rappresentato” dall’asset digitale destinato a circolare all’interno della comunità.
E da qui, dunque, la conseguente e ancor più dirompente constatazione che, in tal modo, l’uomo potrebbe aver forse risolto il problema che costituisce il fine ultimo del diritto stesso, ovverosia regolare i rapporti tra i privati, consentendo di stabilire ciò che è nostro, e ciò che è di altri, quindi di dar luogo allo scambio volontario, e fissando al contempo i casi limite in cui il diritto del singolo, incluso quello di proprietà, può invece essere sacrificato per interessi ritenuti, magari anche a torto, preminenti e le sanzioni per coloro che violassero le regole a tal fine emanate.
Se così è la tecnologia Bitcoin/Blockchain si prospetta come fenomeno in grado letteralmente di destrutturare l’ordinamento giuridico, imponendo al giurista una riflessione seria e profonda che dovrebbe toccare il senso stesso della norma in un nuovo mondo in cui può ben essere la tecnologia informatica a certificare la titolarità dei diritti (partendo da quello di proprietà), come l’esercizio esclusivo dei medesimi ed il relativo trasferimento, assicurando in ogni momento la certezza matematica e l’immutabilità della certificazione e, per tale via, un grado di certezza dei diritti e del Diritto mai prima immaginato.
Sotto questo profilo la sfida appare ancor più impegnativa, ambiziosa ed affascinante, al punto da meritare certamente un dibattito ben più profondo che la eco stantia e ridondante di chi intenderebbe relegare la tecnologia Bitcoin/Blockchain a rappresentazioni grottesche tutte incentrate sui potenziali rischi, per di più mal compresi, di un fenomeno davvero rivoluzionario.
In un momento in cui è razionalmente prevedibile un impiego sempre più massiccio dello strumento, seppur in ambiti magari estremamente ristretti, che possono ad esempio portare a configurare l’asset digitale, a seconda dei casi, come mero mezzo di pagamento, titolo rappresentativo di merci o di legittimazione, titolo di credito atipico pseudonimo o strumento finanziario, gli aspetti che più meritano un corretto approfondimento paiono essere i seguenti:
a) in che misura le regole di circolazione proprie del sistema Bitcoin possano risultare compatibili con quelle previste dal sistema giuridico a seconda della natura che l’asset digitale può di volta in volta assumere;
b) quali siano gli eventuali vincoli normativi, non più attuali, che ben possono essere rimossi per favorire il buon impiego della tecnologia Bitcoin/Blockchain in quei settori in cui esso può risultarne utile.
Per il primo profilo pare evidente l’incompatibilità della tecnologia Bitcoin/Blockchain almeno con le norme previste dall’ordinamento giuridico in tema di circolazione dei beni immobili o dei beni mobili registrati, così come con quelle per l’emissione e la circolazione di titoli di credito (non solo per il caso in cui si voglia configurare l’asset digitale come titolo al portatore, essendo noti i limiti di legge previsti per questi titoli, ma anche per quelli all’ordine o nominativi, quantomeno per problematiche di ordine strettamente fiscale).
Per il secondo aspetto, invece, ci si potrebbe interrogare se ed entro quali limiti convenga al legislatore creare un canale di comunicazione tra la Blockchain ed i registri legalmente riconosciuti per le vicende giuridiche riguardanti taluni beni, quali ad esempio i registri immobiliari o il pubblico registro automobilistico. Il che, peraltro, dovrebbe necessariamente passare attraverso il riconoscimento del pieno valore legale della firma digitale richiesta per l’esecuzione di una transazione sulla Blockchain, prescindendo dall’esistenza di un certificatore autorizzato secondo il Regolamento eIDAS e la normativa di attuazione.
Mentre sul lato delle esigenze fiscali il legislatore, nel riconoscere la piena validità dei titoli di credito emessi in forma di asset digitale, potrebbe risolvere il problema del pagamento dell’imposta di bollo subordinando l’emissione stessa al versamento dell’imposta con forme alternative.
Se si considerano, in ogni caso, gli indubbi benefici che una maggiore certezza dei rapporti giuridici, a partire da quelli di natura commerciale, può apportare al sistema economico, l’auspicio è che la riflessione su questi temi si estenda al più presto anche negli ambiti istituzionali preposti.
Non è scontato concludere rammentando che le prospettive di sviluppo connesse all’avvento dell’economia digitale presuppongono norme giuridiche idonee alla sfida in una concorrenza che è anzitutto tra sistemi ed ordinamenti.
Avv. Giorgio Maria Mazzoli